Empatia: capacità fondamentale per vivere felici

28 Ago, 2020 da

empatia

Secondo il dizionario Treccani l’empatia è la capacità di porsi nella situazione di un’altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell’altro. E’ la condizione necessaria per capire gli altri.

Tale capacità è presente e visibile a livello cerebrale e può essere oggi osservata grazie alle moderne tecniche di diagnostica per immagini.

In pratica, quando vediamo che qualcuno soffre, viene attivata la parte anteriore del cervello, oltre alla corteccia cingolata, cosa che ci porta ad agire per il bene degli altri. Così, non procuriamo esperienze negative perché non le vogliamo provare a nostra volta, a meno che non si soffra di sadismo.

Questo meccanismo dipende molto probabilmente dalla presenza dei cosiddetti “neuroni specchio”, scoperti a metà degli anni novanta da un gruppo di ricercatori dell’Università di Parma guidati dal neuroscienziato Giacomo Rizzolatti. I neuroni specchio si attivano, infatti, non solo quando un soggetto compie un’azione, ma anche quando vede compiere un’azione. In questo modo, come ben illustrato dall’enciclopedia Treccani, ognuno di noi è in grado di sentire quello che fa un proprio simile, percependone sensazioni, emozioni e intenzioni. 

L’attivazione di questi neuroni è però differente a seconda che si veda l’azione direttamente o tramite un mezzo, quale ad esempio la televisione o il computer. A tale proposito, un esperimento condotto in Giappone ha presentato ad alcune persone una serie di semplici gesti, prima svolti da attori di teatro, poi trasmessi in televisione, infine detti a voce. La differenza a livello di attività cerebrale è stata enorme: vedere nella vita reale un’azione è molto più forte che vederla in televisione.

Come scrive la dottoressa Elena Comerio sul portale del Centro Italiano Studi in Neurosociologia,  tale capacità di rispecchiamento, presente anche nel bambino molto piccolo, deve però essere coltivata e curata nel suo sviluppo. Pare, infatti, che il bambino, per realizzare correttamente la propria crescita, debba percepire chiaramente che i genitori sentono quanto lui sta provando. I bambini, infatti, costruiscono la propria identità regolandosi sugli stati mentali dei genitori e se questi stati, per qualche problema, si rivelano misteriosi e inaccessibili, per i figli diventa più difficile sviluppare una buona autostima e una buona capacità di connessione con gli altri.

L’empatia, infine, riguarda diverse strutture e sistemi cerebrali, che includono sia la neocorteccia che le strutture sottocorticali e coinvolge il sistema nervoso autonomo, l’asse ipotalamo-pituitaria e il sistema endocrino, in grado di regolare la reattività corporea e le emozioni.

Perché è così importante sviluppare l’empatia?

Prima di tutto occorre sottolineare che l’empatia è stata funzionale all’evoluzione dell’uomo in quanto utile allo sviluppo di strategie di sopravvivenza: siamo programmati per sintonizzarci con tutti i nostri simili, per creare connessioni e relazioni, per identificarci con chi ci sta intorno, sviluppando un comportamento adattativo utile all’evoluzione.

Questo concetto è sempre stato presente in tutte le antiche tradizioni, che lo hanno tutte più o meno poeticamente riassunto con parole o espressioni quali, ad esempio: Yoga – che significa unione in sanscrito, non solo unione di corpo-mente-spirito, ma anche consapevolezza di unità con tutto ciò che ci circonda; oppure Mitakuye Oyasin – che significa tutto è connesso, da una preghiera tradizionale dei Lakota Sioux. 

In secondo luogo, sviluppare l’empatia rende più felici. É di qualche anno fa un articolo in cui si parlava dell’empatia come materia di insegnamento a scuola per bambini e ragazzi dai 6 ai 16 anni in Danimarca, una delle nazioni che compare da tempo ai primi posti dell’annuale rapporto redatto dall’ONU “World Happiness Report”

Grazie allo sviluppo dell’empatia si prevengono comportamenti distorti, quali ad esempio il bullismo, si insegna a costruire relazioni e si pone l’accento sul fatto che l’unica vera sana competizione debba essere quella con se stessi, rendendo così i ragazzi meno ansiosi, meno stressati e più sicuri di sé.

Accanto all’empatia viene insegnato ai bambini danesi anche l’apprendimento collaborativo, un tipo di apprendimento che li rende consapevoli del fatto che non si può avere successo da soli e che aiutare gli altri porta a migliori risultati. In questo modo, si promuove la crescita di adulti orientati agli obiettivi, qualità che aiuta anche ad avere più successo nella vita rispetto ai coetanei narcisisti, orientati unicamente all’affermazione personale.

Un ottimo modo per sviluppare l’empatia è il teatro. Il teatro rende possibile l’empatia nel pubblico.

Diversi tipi di empatia

Un altro studioso che ha posto l’accento sull’importanza dell’empatia è David Goleman che, nelle sue ricerche sull’Intelligenza Emotiva, distingue tra empatia cognitiva ed empatia affettiva.

L’empatia affettiva è la capacità di provare ciò che altre persone provano: come in uno specchio, entriamo in sintonia con gli stati d’animo di chi ci sta dinanzi, siano essi di gioia oppure di dolore. Questa sintonizzazione avviene attraverso il corpo ed è una capacità atavica che condividiamo con gli altri mammiferi, attivata in modo particolare in presenza dei piccoli per renderci attenti agli eventuali segnali di sofferenza da essi inviati.
L’empatia affettiva opera nella parte più antica del nostro cervello, quella che viene definita sistema bottom-up e gran parte delle reti neurali usate per avvertire direttamente ciò che provano gli altri si trova sotto la corteccia, in aree del cervello che si attivano in modo molto rapido e automatico. Questo tipo di empatia è quella legata ai neuroni specchio di cui si diceva in precedenza.

L’empatia cognitiva, invece, rappresenta un ulteriore livello di empatia nella quale scegliamo di entrare in relazione con un altro. Secondo la definizione di Goleman è quella facoltà che “ ci permette di assumere il punto di vista di un’altra persona, di comprendere il suo stato mentale e di gestire le nostre emozioni mentre valutiamo le sue”. Tale tipo di empatia ci fa sentire le emozioni dell’altro con la consapevolezza che non sono le nostre, permettendo di aprirci ad una nuova esperienza, accogliendo l’esperienza dell’altro come fosse la nostra.

E’ facile intuire che questo tipo di empatia è legato anche alla nostra filosofia di vita, alla nostra etica, alla nostra storia ed è meno immediata, dal momento che non può contare sulla risposta neurovegetativa, caratteristica invece dell’empatia affettiva.

L’empatia cognitiva – più lenta – fa capo al circuito top-down del nostro cervello, cioè all’attività mentale, che si svolge soprattutto all’interno della neo corteccia, in grado di monitorare la macchina subcorticale, trasformando gli stimoli in consapevolezza.

Il teatro, la musica e così via, attivano il primo tipo di empatia. Per questo gli spettacoli teatrali, i concerti, le performace devono essere dal vivo e dobbiamo trovare il modo che continuino ad esserlo anche in presenza di una situazione quale quella che stiamo vivendo. Assistere allo stesso spettacolo via cavo, in digitale, o simili, non è la stessa cosa, perché si attiva il secondo tipo di empatia, quella cognitiva: il cuore non batte nello stesso modo, l’effetto è differente, non c’è una risposta neurovegetativa.

Cosa può bloccare l’empatia

In fase di sviluppo, abbiamo visto sopra, la crescita dell’empatia può essere bloccata nei bambini da una prolungata mancanza di sintonizzazione con gli stati mentali delle principali figure di attaccamento (solitamente i genitori).

In fasi successive, ad esempio durante gli anni della scuola, questa capacità adattativa che ha permesso all’uomo di evolversi e sopravvivere, può – e dovrebbe – essere coltivata, come accade in Danimarca.

Lo stile di vita odierno, infatti, rischia di non essere l’ideale per un sano sviluppo dell’empatia: immagini spaventose di guerre, sofferenze indicibili, fame e altro sono proposte quotidianamente ai nostri bambini e ragazzi da tutti i media, tanto da diventare “normali” e da essere spesso percepite alla stregua di un video-gioco. 

La modalità virtuale – oggi ancor più incentivata in epoca Covid – con la quale i nostri ragazzi ormai assaggiano la vita accentua la distanza tra sé e gli altri e accresce la difficoltà a sentirsi parte di un’unità dal momento che, come detto sopra, tale modalità non attiva l’empatia affettiva.

Infine, una mentalità che premia i successi personali raggiunti, anziché i successi del gruppo, che incentiva, cioè, la competizione con gli altri, anziché quella con se stessi, non fa altro che bloccare ulteriormente lo sviluppo dell’empatia.

Come se tutto ciò non fosse sufficiente, una recentissima ricerca condotta dall’Istituto Olandese di Neuroscienze di cui dà notizia il sito di informazione Business Insider Italia, ha evidenziato che essere soggetti ad un ordine impartito in maniera violenta, riduce notevolmente, se non addirittura annulla, un meccanismo biologico naturale come l‘empatia.

La ricerca ha dimostrato, grazie allo strumento della Risonanza Magnetica, che, quando uomini e donne infliggono una stimolazione dolorosa a un altro individuo, la loro risposta empatica è ridotta quando questa azione è conforme all’ordine di uno sperimentatore (condizione coercitiva) rispetto all’essere liberi di decidere se infliggere o meno quel dolore (condizione libera).

Dalla risonanza emergeva che nel cervello dei partecipanti allo studio in condizione di “coercizione” le regioni dell’empatia erano meno attive, così come risultavano inibite anche le zone che permettono il riconoscimento di quanto fatto e quindi il senso di responsabilità.

I ricercatori hanno anche osservato che i partecipanti all’esperimento, pur sapendo che l’intensità dello shock erogato alla “vittima” era esattamente la stessa durante le condizioni forzate e libere, hanno valutato gli shock come meno dolorosi nella condizione forzata.

I ricercatori hanno anche osservato che i partecipanti si sentivano meno responsabili e meno in colpa verso la “vittima” quando obbedivano ad un ordine, riportando una sensazione di maggior disagio quando dovevano decidere liberamente.

Questi risultati evidenziano che obbedire agli ordini ha un’influenza misurabile sul modo in cui le persone riescono a percepire ed elaborare il dolore altrui. Ciò può aiutare a spiegare come la disponibilità delle persone a compiere trasgressioni morali venga alterata in situazioni di coercizione.

La ricerca, pertanto, fa emergere la responsabilità di chi è al comando o al governo di qualsiasi istituzione, Stato compreso, nell’impartire ordini di qualsiasi tipo.

Non ci sarebbe, a questo punto, scampo? In realtà un partecipante allo studio è stato in grado di resistere all’ordine di procurare dolore alla vittima, sia nella modalità libera che in quella coercitiva. Forse una persona che aveva avuto modo di coltivare sin da piccola la propria empatia?

Allora il modo per non essere in balia di manipolazioni che ci farebbero andare contro la nostra vera natura esiste ed è molto semplice: adoperarci per sviluppare in ogni modo e il più precocemente possibile l’empatia.

Per concludere

A proposito dei danni che il mancato sviluppo dell’empatia può causare, vi invito a leggere un racconto di una scrittrice di cui sentirete presto parlare: Giulia Sara Miori pubblicato su Nazione Indiana. Si intitola “Alice”. Oltre ad essere un bel racconto, credo descriva molto bene i rischi cui ci esponiamo se non ci attiviamo subito consapevolmente per richiedere politiche in grado di sviluppare l’empatia e se non ci adoperiamo per praticare questa meravigliosa capacità di cui tutti siamo potenzialmente dotati.

Segnalo, infine, che proprio l’Empatia è stata scelta come tema  dell’edizione 2020 del Mittelfest, il festival di musica, teatro e danza che si svolgerà a Cividale del Friuli (UD) dal 5 al 13 settembre. Se ne parla su La Lettura di domenica scorsa, 30 agosto,  in una conversazione tra il professor Giacomo Rizzolatti e il regista Hari Pasovic, direttore artistico del Festival.

 

 

1 Comment

  1. Dott.ssa Comerio

    Grazie Irene!

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