Desiderio: qualche riflessione

12 Feb, 2017 da

desiderioSan Valentino è alle porte, così oggi voglio parlare di un concetto spesso associato a quello dell’amore: il desiderio e voglio farlo proprio partendo dall’etimologia stessa della parola.

L’origine della parola desiderio è infatti una delle più belle e affascinanti che si possa incontrare. Questo termine deriva dal latino e risulta composto dalla preposizione de- che in latino ha sempre un’accezione negativa e dal termine sidus che significa, letteralmente, stella. Desiderare significa, quindi, letteralmente, “mancanza di stelle”, nel senso di “avvertire la mancanza delle stelle”, di quei buoni presagi, dei buoni auspici e quindi per estensione questo verbo ha assunto anche l’accezione corrente, intesa come percezione di una mancanza e, di conseguenza, come sentimento di ricerca appassionata.

Come ben descritto sotto la voce “desiderio” dell’enciclopedia Treccani (http://www.treccani.it/enciclopedia/desiderio_(Universo-del-Corpo)/), l’etimologia della parola allude più alla distanza tra il soggetto e l’oggetto di desiderio, e al moto dell’animo che li lega, che alla natura dell’oggetto stesso. Vincolato al registro del piacere e del dolore, ciascun individuo tende ad appagare le esigenze primarie legate alla sopravvivenza e a costruirsi un proprio universo di significati che rimandano alla dialettica natura-cultura

Per la gamma delle configurazioni in cui si esprime, e per la sua attinenza alla sfera della soggettività, il desiderio rimane un problema aperto che investe vari campi, dalla biologia all’antropologia, alla filosofia, alla religione.

Secondo Deepak Chopra, che tra l’altro dedica proprio in questi giorni il suo ciclo di meditazioni gratuite al tema del desiderio (http://www.deepakchopra.it/), nessun desiderio è cattivo di per sé. La natura del desiderio, infatti, è neutra e sta ad ognuno di noi decidere se agirlo o meno, accettandolo senza giudizio, ma osservando con consapevolezza l’effetto che la soddisfazione di questo desiderio  avrebbe su di noi, sugli altri e sul pianeta.

Il desiderio è il motore del mondo, il motore delle nostre azioni, senza desideri saremmo morti, morti dentro, i nostri desideri, infatti, ci fanno sentire vivi. Quando non sentiamo dentro di noi desideri autentici, desideri profondi, desideri che vadano al di là di quanto ad esempio suggerito dalla pubblicità, dovremmo cominciare a preoccuparci sul serio.

Il desiderio, perciò, può essere considerato come un’energia potente, come solo l’energia creativa può essere, un’energia alla quale attingere per vivere degnamente la nostra vita. Perché ciò avvenga, però, occorre che i nostri desideri siano allineati con quella che Deepak Chopra chiama “l’infinita intelligenza della Natura”.

Il desiderio, inoltre, va coltivato e prima ancora va fatto affiorare, va riconosciuto. Se ci sembra di non avere desideri, proviamo a ricordare quale fossero i nostri sogni nel cassetto quando eravamo ragazzi e sentiamo se ci fanno ancora risuonare qualcosa dentro.

Un esercizio che suggerisco spesso nei miei laboratori è quello della lista dei desideri. Provate a stilare, senza rifletterci sopra, una lista dei vostri desideri e poi osservatela, senza giudizio. A questo punto scrivete come e se la vostra vita sta andando verso la realizzazione di questi desideri e, se ciò non sta accadendo, quale pensate siano le ragioni. Rileggete quanto avete scritto e apprezzatene l’autenticità. Infine, scrivete come sarebbe la vostra vita senza quei desideri.

Il desiderio ha sempre smosso gli animi in tutte le culture: in occidente, considerato spesso solo sotto la sua accezione di desiderio sessuale, è stato indagato, ostracizzato, giudicato, mentre così non avviene nella tradizione orientale.

Nel Buddismo, ad esempio, a proposito di desiderio si fa un distinguo importante e si dice che è l’attaccamento al desiderio e non il desiderio in se stesso ad essere la causa primaria di ogni sofferenza. Quello che va fatto per far cessare la sofferenza che contraddistingue la nostra vita, perciò, non è negare o reprimere ogni desiderio, quanto lavorare per evitare l’attaccamento ad esso.

A tale proposito, lo psichiatra-psicoterapueta Mark Epstein nel suo libro “Buddha, Freud e il desiderio”(http://www.indianaeditore.com/collane/buddha-freud-e-il-desiderio/)” afferma che nel buddhismo il problema non è il desiderio: Siddhartha quando si illuminò,  non intuì che il desiderio è il dolore e che per liberarsi del dolore bisogna recidere il desiderio, comprese invece che il dolore nasce dalla brama e dall’attaccamento, dal processo di oggettivazione, dal processo, cioè, di rendere qualsiasi cosa o persona un oggetto atto a soddisfare i nostri desideri e questa è la differenza tra bramare e desiderare. E aggiunge che è la nostra esperienza del desiderio ad essere complicata, paradossale e carica di sofferenza, restando interminabilmente affamati di continui oggetti per placare la nostra fame insaziabile, che è appunto la brama e non il desiderio.

Secondo un’altra accezione, lo psicoanalista Massimo Recalcati (per chi desideri approfondire: (http://www.affaritaliani.it/Rubriche/cafephilo/massimo-recalcati-l-enigma-del-desiderio.html), ben esprime come, quando si parla di desiderio, vada fatto un distinguo rispetto al concetto di godimento, infatti, il godimento immediato ed effimero è lontano del “desiderio” e dovremmo tutti imparare a desiderare. “Dovremmo poter dire ai nostri figli: se tu rinunci al godimento immediato, se non ti perdi nel culto effimero della sensazione, se non insegui il miraggio del nuovo, potrai avere una soddisfazione assai maggiore. Questa è la posta in gioco. Quale soddisfazione? Quella del desiderio.” E ancora: “La cosa che più colpisce come psicanalista è vedere che il sintomo più diffuso tra i giovani, aldilà della depressione, l’anoressia, il panico, le droghe, sia il fatto che sono senza desiderio, che sono vite senza desiderio. Il disagio della giovinezza prende questa forma della vita come turacciolo passivo, sballottato dalle onde del godimento”.

Per concludere, voglio citare un aforisma attribuito allo scrittore e drammaturgo irlandese Oscar Wilde: Ci sono due grandi tragedie nella vita. La prima è desiderare ciò che non si può avere… la seconda è ottenerla” che riprende forse un antico proverbio cinese che recita: attento a quello che desideri, perché prima o poi lo otterrai!

 

 

 

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