La proibizione: una recensione

20 Mag, 2019 da

la proibizione

Oggi voglio parlare di uno dei pochi libri che abbia mai avuto voglia di rileggere appena terminato, ma che mi ha costretto spesso durante la lettura a chiudere la pagina, quasi per riprendere fiato, per mettere un po’ di distanza rispetto alle emozioni che faceva scaturire in me, a volte in modo intollerabile.

Si intitola “La proibizione” , di Valentina Durante, un’autrice esordiente pubblicata da Laurana.

La storia è intrigante, avviluppante e tocca corde profonde e la lingua – intesa come uso del linguaggio, della parola scritta – è “da urlo”, raramente ho incontrato, da umile lettrice quale sono, una tale perfezione. Così come certe descrizioni di ambienti naturali domestici, penso al giardino della casa dove vive la protagonista, Leni.

Pullula di immagini questo libro, lo leggi e vedi, ti sembra di essere lì, con Leni, con la zia Eleonora in questa casa-convento, con il suo hortus conclusus tanto perfetto per le cure (che espressione di reale cura in verità non sono) della zia, tiranna anche sulle piante del proprio giardino. E c’è una precisione chirurgica nei riferimenti, che siano scientifico/naturalistici o altro.

Emozioni in teoria dirompenti sono raccontate nel loro lento incoperchiamento e nel loro successivo erodere, quasi in sordina, i limiti imposti. La violenza nascosta di certi rapporti, violenza paludata anche da presunti atti di attenzione, è qui descritta in modo a mio parere mirabile.

Ecco, se qualcuno volesse arrivare a capire come sia possibile ritrovarsi a vivere una vita imprigionata entro limiti apparentemente invalicabili (in realtà del tutto auto imposti), o meglio, limiti al vivere in cui ci si trova invischiati un passo alla volta, legga questo libro.

Certo, i temi sottesi a questa splendida narrazione sono molto più ampi, ma questo è quello che mi è risuonato di più dentro.

Perché questo è un romanzo che fa risuonare tantissimo, fa vibrare corde nascoste; ogni lettore, e soprattutto ogni lettrice –credo – potrà trovare rappresentata tra le righe della storia una parte di sé o dei propri timori reconditi o di certi modi di essere e prendere la vita, così come l’accettazione o meno della propria finitezza come esseri umani.

Posso guarire le persone che amo. Qualunque sia il male, io posso curarlo (…) Non posso vincere la morte ma posso batterla sul tempo. Farle lo sgambetto. Quando guarisco qualcuno lo perdo, Qualunque sia il male, la sua cura si trasforma nel mio male (…)”, cito.

È una storia che si dipana lenta, dove la realtà esterna finisce spesso per farsi materializzazione di quella interna. E i personaggi sono indimenticabili.

Leni, la bambina affidata dalla madre alla zia, che eredita un dono, in realtà una maledizione, insieme alla proibizione (di qui il titolo del libro) di amare – come se questo fosse possibile – chiunque, anche sé stessa.

La zia Eleonora, un’artista, esperta pasticcera, che sente di aver dovuto rinunciare da giovane alle belle promesse cui era destinata per prendersi cura della nipote e  che  costruisce intorno ad entrambe un muro invisibile e un giardino chiuso dove segregare di fatto Leni, che – crescendo in questo contesto – diviene connivente in questa clausura, dorata, comoda, deresponsabilizzante, ma luogo di tremenda violenza emotiva.

Infine Daniele, il figlio di Leni, quel figlio che non avrebbe dovuto nascere, che diventa motore di cambiamento, un figlio che Leni è “costretta” a tenere emotivamente a distanza, ma che ama dal profondo. Un figlio che arriva quasi ad ammirare, da adolescente; un figlio che, con calma ma determinazione, riconosce il giogo imposto dalla zia a sé e alla madre e se ne sottrae, cercando al contempo di salvarla. Ma dato che nessuno può salvare qualcun altro, sarà solo “scegliendo”, compiendo una scelta dolorosa e terribile, che Leni avrà finalmente accesso alla propria libertà.

E, a proposito del rapporto madre-figlio –  restano per me indimenticabili le immagini delle serate trascorse da Leni nella stanza del figlio a guardarlo – finalmente soli – disegnare, senza una parola, senza bisogno di nulla, se non di questa vicinanza esclusiva e silenziosa. Un rito officiato con la medesima solennità di un rito sacro e con una forza dirompente quanto a significato.

Per concludere, credo che sia un libro da leggere assolutamente, da rileggere e da tenere anche solo vicino, perché, oltre tutto, come oggetto-libro è anche bello: bella la copertina, bella la carta e la qualità della stampa, ottima la leggibilità.

 

Valentina Durante

La proibizione

Laurana Editore

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