Elogio delle erbacce

7 Lug, 2014 da

In questo piacevole libro il famoso botanico e naturalista inglese Richard Mabey traccia una storia originale e, a tratti, romantica delle cosiddette “erbacce” che, in realtà, altro non sono che piante cresciute fuori dal loro luogo d’origine. Come scrive Mabey “Quando intralciano i nostri piani o le nostre mappe ordinate del mondo, le piante diventano erbacce”.

Mabey ci fa anche riflettere sul fatto che quella che oggi consideriamo un’erbaccia, fosse invece una pianta commestibile appena qualche decennio fa: in una parola, cambiano le mode e cambiano anche le etichette e il nostro modo di considerare il mondo intorno a noi. Dopo il Medioevo, in particolare, erbacce e piante selvatiche hanno perso molto del loro valore economico. Ancor oggi, comunque, nutrirci di piante selvatiche ci riporta in contatto con le nostre radici biologiche, con il senso delle stagioni, con il senso profondo del cibo in quanto prodotto di processi naturali. Forse per questo molte tradizioni contadine regionali contemplano tra le proprie ricette più tipiche quelle a base di erbe selvatiche: basti pensare alle lunigianesi o emiliane torte d’erbi, o alla frittata alle ortiche o alle primaverili insalate di tarassaco, portulaca, borragine e malva.

Le erbacce, in realtà sono molto importanti per la vita del pianeta, spesso curative anche per l’uomo e sinonimo di una tenacia, di un istinto di sopravvivenza e di una vitalità che condividono a livello simbolico con l’uomo stesso.

Per sopravvivere le erbacce, infatti, devono essere adattabili, opportuniste e veloci, devono essere un passo avanti rispetto all’ambiente, tanto più, quanto più l’ambiente è instabile. Spesso producono semi in gran quantità e sviluppano sistemi molto avanzati e variegati per assicurarsi il trasporto in habitat diversi. Hanno anche spesso una impressionante capacità di quiescenza. La quiescenza, spiega Mabey, è una politica assicurativa, l’equivalente botanico dei risparmi per i tempi duri: la pianta si evolve in modo che una certa percentuale dei suoi semi rimanga inattiva per due, tre, trenta, trecento anni, proprio nel caso in cui il suolo non venga smosso per tutto quel tempo o che la prima generazione di piante non muoia. Le erbacce hanno, inoltre, la capacità di aspettare il tempo giusto, giacendo inattive nel sottosuolo fino a quando le condizioni adatte non si manifestino.

Tutte caratteristiche, insomma, che ci dovrebbero far riflettere.

In conclusione, quelle di Mabey sono pagine colte e raffinate, con riferimenti eruditi misti a ricordi personali che fanno di questo libro una lettura piacevole e al tempo stesso rigorosa sotto il profilo botanico. In una parola: da leggere!

Richard Mabey

Elogio delle erbacce

Ponte alle Grazie

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